Cosa sappiamo dei vaccini anti Covid19? Facciamo il punto
Nota: questo articolo potrebbe subire modifiche a seguito di nuove evidenze scientifiche, o a seguito di nuove domande o dubbi a cui dare risposta, che verranno riportate con la data di aggiornamento.
Il tema vaccini è particolarmente sentito, soprattutto in vista delle somministrazioni di massa di quello anti Covid19. Abbiamo raccolto le domande degli utenti dove vengono espressi dubbi, curiosità o paure indotte anche a causa della disinformazione. Durante le ultime settimane se ne sono aggiunte altre, alcune a seguito delle ultime novità sul vaccino Pfizer e altre già trattate in passato ma tornate ad essere oggetto di discussione, come il fantomatico vaccino capace di «modificare il nostro DNA». Notizia falsa, ovviamente, come tante altre che andremo a trattare in questa guida utile.
Alcune domande non hanno una risposta certa, ed è giusto non azzardare rischiando di fornire un’informazione inesatta o errata. Ad esempio, ad oggi non siamo certi quale sia il miglior vaccino anti Covid19 e quanto potrà durare l’immunità acquisita. Argomenti per il quale bisognerà attendere ulteriori riscontri scientifici.
Come verrà distribuito?
Dipende da quale vaccino verrà utilizzato. Alcuni necessitano una conservazione in appositi congelatori mentre altri in «normali» frigoriferi, variando dunque i tempi di distribuzione. Il costo, tra produzione e diffusione, potrebbe variare la distribuzione da paese a paese. Quel che è certo è la modalità di somministrazione, la priorità sarà data agli operatori sanitari (di cui siamo carenti) e alle persone più a rischio e vulnerabili.
Quanto ci costerà?
Dipende da qualche vaccino verrà utilizzato. Oltre al costo della singola dose, considerando che potrebbero essere necessari anche dei richiami con una seconda dose da somministrare, c’è da tenere conto della conservazione e della distribuzione. Il costo di una singola fiala potrebbe variare dai 3 fino a un massimo stimato di 30 euro. Secondo un dato pubblicato per errore da segretario di Stato belga, Eva De Bleeker, i prezzi europei dei vaccini sarebbero i seguenti:
- Oxford / AstraZeneca: 1,78 €
- Johnson & Johnson, $ 8,50
- Sanofi / GSK: 7,56 €
- BioNTech / Pfizer: 12 €
- CureVac: 10 €
- Moderna: $ 18
Politico riporta che il Belgio acquisterà più di 33 milioni di dosi per un totale di 279 milioni di euro. In Italia il vaccino dovrebbe essere gratuito a spese del sistema sanitario nazionale e considerando le cifre si potrebbe fare un paragone con le spese sostenute per i ricoveri Covid19 ricordandoci la falsa notizia complottista circolata sui «fantomatici premi» per ogni paziente ricoverato, narrazione generatasi a causa di un’interpretazione delle parole di Guido Bertolaso.
Secondo una stima effettuata da Altems dell’Università Cattolica, riportata da un articolo del 27 maggio de Il Sole 24 Ore, la spesa sanitaria sarebbe andata oltre il miliardo di euro: «Per i 129.401 ricoveri per Covid-19 effettuati e conclusi, la spesa, valorizzata con le tariffe DRG, si stima pari a 1.096.814.694 euro. Di questi il 33% è stato sostenuto per i casi trattati in Lombardia».
Quanto durerà la copertura vaccinale?
Bella domanda! Non lo sappiamo. Sono emersi casi in cui dei pazienti guariti sono tornati ad ammalarsi nel giro di qualche mese. Succederebbe anche con una immunità mediata dal vaccino? È quanto gli scienziati di tutto il Mondo si apprestano a scoprire. La funzione principale del vaccino è da comprendere nell’ottica più ampia di generare un calo rilevante dei casi gravi in un breve lasso di tempo, durante il quale si dovrebbero continuare a osservare le norme di distanziamento sociale. In questo modo verrebbe dato un notevole colpo contro la diffusione del virus.
Al momento è fondamentale impedire che il virus diventi endemico, arrivando a contagiare intere popolazioni, con conseguenze catastrofiche nei sistemi sanitari e nella già triste conta delle vittime, che aumenterebbero proporzionalmente nelle fasce più a rischio.
Chi si vaccina è sempre infettivo?
In generale chi si vaccina sviluppa anticorpi specifici, in special modo le immunoglobuline G, la cui permanenza nel nostro Organismo garantisce l’immunità. Questo perché un vaccino non serve per curare una malattia, ma per prevenirla prima del contagio. Una immunità di qualche mese comporterebbe la necessità di fare dei richiami, come avviene già per altri tipi di vaccini.
Eppure è estremamente difficile rispondere oggi a questa domanda. Al momento non abbiamo un vaccino approvato e distribuito. Nemmeno i riscontri di Pfizer sono definitivi. Secondo una recente analisi di Nature, il vaccino potrebbe bloccare i sintomi, ma non l’infezione o il contagio, non di meno ridurrebbe notevolmente questi fattori, facendoci uscire dalla crisi sanitaria.
Le più recenti affermazioni dei responsabili di Moderna sembrano confermare che in questo caso chi si vaccina potrebbe continuare a essere infettivo. Tutto questo ha suscitato confusione nei lettori, quando i virologi hanno commentato tali riscontri, confondendo quel che riguarda i vaccini già esistenti in generale, col discorso dei vaccini anti-Covid.
Chi è già stato contagiato sarà obbligato alla vaccinazione?
Il vaccino non funziona come i farmaci utilizzati nelle terapie antivirali, che vengono impiegati quando ormai si è manifestata la malattia; è un mezzo per prevenirla, da somministrare a chi non ha ancora contratto il virus. Sull’obbligo si entra in un terreno scivoloso. Innanzitutto occorrerebbe studiare una strategia di somministrazione ai soggetti più a rischio di contrarre forme gravi di Covid-19. Sarebbe preferibile una campagna di sensibilizzazione della popolazione. Così però usciamo dall’ambito scientifico entrando in un altro che non ci compete: quello politico.
- Coronavirus, tutti i tipi di test diagnostici esistenti: dai più usati a quelli meno conosciuti
- Vaccino anti-Covid. L’appello degli scienziati per criteri chiari ed efficaci di distribuzione
Modificheranno il nostro DNA?
Sono note le notizie false diffuse in merito a un fantomatico vaccino anti Covid19 capace di modificare il nostro DNA. Anche la virologa Gismondo aveva diffuso questa narrativa, grazie a un suo intervento al Senato ampiamente diffuso negli ambienti complottisti. La risposta più chiara ed evidente in questo caso è la seguente: magari avessimo queste possibilità, perché saremo in grado di risolvere molte malattie genetiche. Purtroppo non possiamo porre rimedio a queste ultime e il vaccino di nuova generazione usato contro la Covid19 non ne è capace.
Visto che i vaccini di ultima generazione utilizzano frammenti di RNA o di DNA e visto che l’Unione europea a aggiornato le limitazioni certe tecniche OGM utilizzate anche per produrli, qualcuno ha sostenuto che i vaccini «ci modificheranno geneticamente». Questo è impossibile. Questi frammenti contengono solo l’informazione per far produrre alle nostre cellule l’antigene del virus, in modo da stimolare il sistema immunitario, in nessun modo possono portare alla produzione di virioni veri e propri.
Le reazioni avverse
Ciò che desta preoccupazione nella popolazione è la possibilità di reazioni avverse. Non sono una novità, ogni farmaco e vaccino ne ha almeno una e viene riportata nei foglietti illustrativi – comunemente chiamati «bugiardini» – con le relative indicazioni.
Alcuni casi di reazioni avverse sono state registrate durante le prime somministrazioni del vaccino Pfizer, ma bisogna stare attenti a non diffondere un allarmismo ingiustificato sostenendo che chiunque sia allergico a qualunque cosa sia escluso dalla vaccinazione. Bisogna stare attenti alla ricerca forzata di reazioni avverse da vaccino, come nel caso della morte di un sacerdote americano deceduto per un problema cardiaco a mesi di distanza dall’iniezione del vaccino sperimentale Moderna che, di fatto, non ha posto alcun freno alla sperimentazione. Storia simile quella del medico brasiliano volontario per la sperimentazione del vaccino di Oxford, che però aveva ricevuto il placebo.
Nei bugiardini dei vaccini di ultima generazione le case farmaceutiche si prodigheranno a riportare tutte le indicazioni riguardo alle modalità di somministrazione. Inoltre, onde tutelarsi da eventuali cause legali, dove spesso è sufficiente una correlazione casuale per ottenere degli indennizzi per presunti «danni da vaccino», potrebbero elencare vari eventi avversi poco probabili, che non sono stati ancora esclusi con certezza.
Un esempio recente sono le specifiche del vaccino di Pfizer, di cui alcuni passi sono stati letti in maniera distorta dai complottisti. Si legge per esempio che non è raccomandato realizzare mix con altri farmaci o somministrarlo a chi presenta sintomi febbrili.
Anche per quanto riguarda i minori di sedici anni, le donne in gravidanza e allattamento, non sono state fatte sufficienti ricerche specifiche, cosa che se non riportata nei bugiardini potrebbe far incorrere le case farmaceutiche in pesanti ripercussioni legali, anche se non venisse dimostrata scientificamente una correlazione causale tra eventi avversi e vaccino.
Quel che sappiamo per certo è che nelle fasi più avanzate della sperimentazione clinica, questi vaccini hanno dimostrato la loro sicurezza nelle normali condizioni previste per la vaccinazione di operatori sanitari, anziani e adulti con patologie pregresse, ottenendo quindi l’autorizzazione da parte delle Istituzioni sanitarie competenti.
Garantiranno l’immunità di gregge?
Precisiamo che al termine immunità di gregge si preferisce quello di «immunità di comunità». Si tratta di raggiungere una ampia quota di popolazione resa immune, in modo da ridurre notevolmente la probabilità di essere contagiati negli altri, riducendo in maniera ottimale il carico degli ospedali.
Nel frangente della lotta contro la Covid-19 questo concetto è stato declinato in due modi principali, che non devono essere confusi, perché esprimono strategie diverse, non tutte realizzabili: immunità naturale (raggiunta dai soggetti guariti); oppure indotta dal vaccino, che stiamo ancora aspettando.
Sulla fattibilità di una immunità di tipo naturale, in grado quindi di garantire una immunità di comunità, sussistono enormi dubbi. Ampi studi recenti hanno osservato che nella realtà non abbiamo evidenze che l’immunità possa essere duratura per tutti nel lungo periodo.
Un’altra forma di immunità individuale, che di fatto non ha prodotto l’immunità di comunità, è quella cellulare. Alcuni studi suggeriscono essere dovuta a precedenti malanni, dovuti a Coronavirus umani comuni (HCoV). Altri lavori sembrano aver trovato in un gruppo di pazienti registrati tra il 2011 e il 2018, degli anticorpi specifici in grado di riconoscere anche il SARS-CoV2 (anticorpi cross-reattivi). Parliamo però di studi preliminari su cui non è stata ancora detta l’ultima parola. Il recente studio dell’Istituto Tumori di Milano che suggeriva in Italia l’esistenza di pazienti fin dal settembre 2019, presenta diversi limiti metodologici, per quanto presenti indizi di cross-reattività i ricercatori preferiscono spiegarli con l’ipotesi – meno probabile – della presenza del SARS-CoV-2 fin da quel periodo.
La Dichiarazione della Great Barrington, del 4 ottobre 2020, non ha trovato seguito nel resto della Comunità scientifica. In breve, gli autori propongono di togliere le misure di contenimento ai soggetti che non rientrano nelle fasce a rischio, come gli over 65, che invece dovrebbero essere tenuti isolati. Non è pensabile al momento una immunità di comunità, ottenuta lasciando che un’ampia quota di popolazione contragga il virus, con tutte le conseguenze per numero di vittime e complicazioni a lungo termine – dopo la malattia – che questo comporterebbe.
D’altro canto una vaccinazione di massa, a cominciare magari dai soggetti più a rischio, permetterebbe l’immunizzazione nel minor tempo possibile di un’ampia quota di popolazione, garantendo una protezione notevole. Non è detto che si raggiunga subito una immunità di comunità, ma al momento è la migliore strategia possibile, affiancata alle già note misure di distanziamento sociale.
- La falsa promessa dell’immunità di gregge per la Covid-19, Nature, 21 ottobre 2020;
- Sfide nella creazione dell’immunità di gregge contro l’infezione da SARS-CoV-2 mediante vaccinazione di massa, The Lancet, 4 novembre 2020;
- Consenso scientifico sulla pandemia di COVID-19: dobbiamo agire ora, The Lancet, 15 ottobre 2020.
Se «il 95% è asintomatico», a che serve un vaccino?
Questa domanda fa probabilmente riferimento al vaccino di Pfizer, e ad alcune fake news volte a sovrastimare ruolo e numero effettivo degli asintomatici che non equivale affatto al 95% dei positivi (lo spieghiamo qui). Nell’ultimo comunicato della Pfizer il suo vaccino viene definito «efficace al 95%». Per capire come interpretare questa affermazione sarebbe meglio attendere di leggere uno studio scientifico vero e proprio relativo ai risultati della sperimentazione, che ha coinvolto oltre 41mila volontari.
Ad ogni modo, difficilmente «efficace al 95%» potrebbe significare copertura vaccinale nel 95% della popolazione. Inoltre gli asintomatici sono comunque infettivi, per niente immuni, e i sintomi ci sono lo stesso, anche se non riscontrabili in una visita preliminare dal medico, che secondo alcuni studi potrebbero comportate anche altre patologie nel lungo periodo.
Infine non è corretto parlare di un 95% di asintomatici. Uno dei problemi di questa pandemia è che una piccola quota della popolazione può contagiare buona parte del resto. Secondo il portale Epicentro (Istituto Superiore di Sanità (ISS), il 6 ottobre, su un 88% di casi confermati, il 55,9% risultava asintomatico.
«Al 6 ottobre 2020, risultano guariti 226.509 casi – continuano gli autori di Epicentro – Escludendo dal totale dei casi segnalati i casi guariti, quelli deceduti (36.051) e 23 casi persi al follow-up, l’informazione sulla gravità clinica dei pazienti affetti da COVID-19 è disponibile per 57.049/64.793 casi confermati (88,1%) riportati al sistema di sorveglianza. Tra questi, 31.902 (55,9%) risultano asintomatici, 8.778 (15,4%) sono pauci-sintomatici, 11.712 (20,5%) hanno sintomi lievi, 4.261 (7,5%) hanno sintomi severi e 396 (0,7%) presentano un quadro clinico critico».
Il tempo di sperimentazione è stato sufficiente per valutare effetti collaterali sul lungo periodo?
Esiste un preciso iter nelle sperimentazioni di un farmaco, che preve diverse fasi: due pre-cliniche (nelle piastrine da laboratorio e con la Sperimentazione animale); tre cliniche, dove vengono coinvolti sempre più volontari a cominciare dal personale sanitario, arrivando a comprendere ampi gruppi con migliaia di persone, una parte delle quali riceverà un placebo, per scremare ogni fenomeno casuale o dovuto a fattori diversi dal vaccino. Qui le riproponiamo sinteticamente, come riportate nella nostra Guida utile, dove potete approfondire ulteriormente l’argomento:
Si comincia sempre coi test preclinici, dove è indispensabile la Sperimentazione animale. Oggi più che mai è diventata evidente l’importanza di utilizzare degli organismi complessi, in qualche modo simili al nostro, perché una terapia non può dimostrare efficacia e sicurezza sulle sole piastrine da laboratorio. Gli esperimenti in vitro sono sicuramente importanti, ma come primo passo. Già il passaggio dagli esperimenti nelle colture cellulari ai test sugli animali, screma numerose idee che sembravano inizialmente promettenti;
A questo punto il vaccino passa alla Fase I, dove lo si somministra a un piccolo gruppo di persone perfettamente sane, magari del personale sanitario, cominciando a testarne efficacia e sicurezza, cosa che si ripeterà ovviamente nelle fasi successive;
Nella Fase II il numero di volontari a cui si somministra il vaccino comincia a essere più ampio, nell’ordine delle centinaia di persone, divise per gruppi con differenti caratteristiche, almeno uno di questi riceverà un placebo, così da scremare effetti dovuti alla suggestione o ad altri fattori non visti nelle fasi precedenti;
Nella Fase III si fa grosso modo lo stesso genere di test di quella precedente, ma con migliaia di volontari. Diventa fondamentale accertarsi che non vi siano significativi casi di eventi avversi.
Tutte queste fasi parcellizzano innanzitutto il rischio nelle persone, e in altre specie animali coinvolte nelle varie fasi della ricerca. Quando si manifesta un evento avverso tutto va in pausa in attesa di riprendere a seguito di accertamenti, com’è già avvenuto col vaccino di Oxford/AstraZeneca o con quello della Johnson & Johnson.
Tutto questo comporta tempi relativamente lunghi, tanto che spesso fanno prima ad arrivarci i comunicati delle case farmaceutiche, piuttosto che gli studi scientifici riguardo ai loro progressi, che sono ancor più lenti ad arrivare. Si può cercare di velocizzare un po’ alleggerendo i processi burocratici, ma non di più.
Diverse case farmaceutiche hanno inoltre sottoscritto una sorta di manifesto, nel quale si impegnano a non concedere sconti in merito alle tempistiche. Se un vaccino verrà finalmente distribuito, questo implicherebbe necessariamente, che nei tempi richiesti per la sua sperimentazione, ha dimostrato efficacia e sicurezza.
Si possono fare paragoni coi vaccini già esistenti?
I potenziali limiti dei vaccini di nuova generazione contro la Covid-19, riguardano in generale anche tutti gli altri? Non proprio. Esistono certamente delle eccezioni, come nel caso degli anti-influenzali, ma in generale i vaccini già esistenti sono protettivi al 100%.
Recenti tweet pubblicati dai virologi Ilaria Capua e Roberto Burioni hanno suscitato qualche confusione, perché apparsi quasi contemporaneamente e apparentemente in disaccordo. In realtà hanno fatto affermazioni complementari: la Prima si riferiva ai limiti dei vaccini anti-Covid, il Secondo a quelli già esistenti, facendo un discorso generale.
Noi possiamo dire che in generale la cucina italiana è eccellente, salvo qualche eccezione. Qualcuno però potrebbe avanzare dubbi su alcuni nuovi ristoranti italiani, che devono ancora essere inaugurati, senza per questo contraddire la comprovata eccellenza della cucina italiana in generale.
- Coronavirus: Ilaria Capua, Roberto Burioni e il disaccordo sui vaccini che non c’è
- Vaccino anti-Covid. L’appello degli scienziati per criteri chiari ed efficaci di distribuzione
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